E mentre San Valentino si avvicina io e Gaia ci siamo fatte questa domanda: gli amori non vissuti fino in fondo, lasciati in stand by, avvolti da quella patina di idillio che aleggia sempre intorno a ciò che reale non è (o che si desidera e proprio non si può avere), che fine fanno? In che posto è giusto metterli? Nel cassetto sotto i calzini antiscivolo o accanto al cuore tenendoli vivi anche se il tempo passa e poi chissà un giorno rispolverarli e per vedere cosa accade?
Lo scopriremo presto anche grazie ai consigli di #PsicoGaia e del suo bugiardino.
E intanto iniziamo a metterci il naso prendendo spunto dalle faccende di cuore di Emma, la migliore amica di Viola, che proprio con il tasto play di un amore in stand by dovrà fare i conti.
E poi cederemo il passo a #psicogaia che è lì che scalpita e non vede l'ora di dire la sua...
Come Emma ed Edoardo
Qualche ora dopo siamo al Palaisozaki in attesa dell’ora x
quando scatterà il nostro piano strategico: iniziare a correre per conquistare
un posto appiccicate al nostro idolo. Nel frattempo, provo ancora a contattare
zia Dalia ma senza successo. «Dai, molla il cellulare! Stanno aprendo i cancelli!»
All’improvviso la folla balza in avanti e tutti iniziano a spintonarsi. Emma in
fibrillazione sguscia abile trascinandomi per una manica del giubbotto.
Considerando che non siamo più le ragazzine di un tempo, io le avevo proposto
di scegliere delle comode seggiole nel secondo anello numerato. Ma ovviamente
non c’è stato verso. Per lei i concerti si vivono dal vivo vale a dire in
piedi, con porzioni limitate di anidride carbonica e pigiate come soppressate
ma assolutamente sotto al palco, costi quel che costi. Vuoi mettere l’emozione?
Alla fine sgomitando un po’ riusciamo a conquistare il nostro posto in prima
fila. Sul grande maxischermo le lancette digitali iniziano il conto alla
rovescia. Le luci si spengono e appena si diffondono le prime note vengo
trasportata in quel mondo in cui le emozioni diventano musica. Due ore dopo,
con le corde vocali ormai sottili come sfoglie di lasagna, le quote rosa
intonano in coro il ritornello del brano Le donne lo sanno. Emma accanto a me
canta e danza spensierata. Poi mi volto e lo vedo. Nonostante il buio,
nonostante la folla. Un paio di occhi appartenenti ad un maschio bianco poco
più che trentenne, che, anziché fissare il palco, convergono direttamente verso
il vulcano rosso al mio fianco. Sono quelli di Edoardo. Lui si accorge di me e
mi fa un cenno con la mano. Il mio sguardo corre protettivo verso Emma che sta
assaporando il concerto come uno spicchio di
mandarino, finalmente libera e
senza nessun uomo accanto. Ma qualcosa mi dice che non durerà a lungo… Intanto
Edoardo, come un moderno Mosè in Hogan e Lacoste, si apre un varco tra la
folla. «Hey perché hai smesso di ballare?» Emma, insospettita dalla mia
staticità, si gira verso di me nell’istante esatto in cui Edoardo ci raggiunge.
«Emmi...» lui pronuncia il suo nome con infinita dolcezza. I loro occhi si
incontrano. Qualcuno alza uno striscione con la scritta Se c’è qualcosa di
speciale in questo cielo passerà di qui prima o poi. «Edo…» risponde con un
filo di voce. La matita che le ferma i capelli scivola via e i riccioli le
ricadono sulle spalle all’improvviso, come una massa di fuoco ribelle. Io li
inquadro, fotogramma per fotogramma. E li rivedo come cinque anni fa
all’aeroporto di Caselle. Emma, il trolley lilla e i capelli spettinati dal
vento che, quel giorno, ha deciso di soffiare implacabile. Edoardo, la sua
immancabile Lacoste e quella nuova compostezza di ingegnere fresco di laurea.
Un’amicizia adolescente sbocciata grazie al mio attacco allergico alla
vaniglia. E cresciuta ai tempi dell’università, insieme a loro. Emma accompagna
Edoardo al Politecnico ed esame dopo esame, lo attende paziente a gambe
incrociate, il blocco sulle ginocchia, come una macchia allegra di colore.
Parlano, scherzano, sognano. Sempre insieme. Progetti e fumetti si confondono
uno nella vita dell’altro. L’happy end sembra già scritto quando il destino ci
mette lo zampino e all’improvviso tutto cambia… Una pioggia di coriandoli cade
dal cielo e io mi ritrovo catapultata nel presente, in un mondo che balla,
nell’apoteosi finale del concerto. Accanto a me Emma ed Edoardo continuano a
guardarsi come cinque anni fa. Lui si offre di accompagnarci a casa e subito le
dita di Emma si arrampicano sopra il mio braccio in cerca di aiuto. «Edo noi ci
fermiamo ancora dieci minuti…» prendo tempo io. «Non se ne parla nemmeno. É
meglio andare, prima che si formi un ingorgo.» Così ci ritroviamo nella
Mercedes di Edoardo, accompagnate da un silenzio più spesso e gelido di una
Viennetta Algida. Nessuno sembra interessato a fare conversazione. Emma si è
eclissata nel sedile posteriore e se ne sta con il naso appiccicato al
finestrino. Edoardo sta sfidando tutti gli autovelox della zona pur di
smollarmi il prima possibile al mio domicilio. Infatti in dieci minuti netti
sono sotto casa. « Allora grazie…» tentenno indecisa sul da farsi. «Magari vi
va di salire a bere qualcosa?» Mi affaccio verso il sedile posteriore cercando
gli occhi di Emma. Silenzio. «No, mi sa che non vi va…» Edoardo mi guarda, e le
sue dita sfiorano lievi il quadrifoglio dorato sulla chiave di accensione. É il
suo modo elegante per dirmi di levarmi di torno. «Io salgo allora…» Finalmente Emma mi cerca con i suoi occhi da
gatta che ora sembrano più smarriti che mai. Si porta alle labbra la punta di
un ricciolo ed abbozza un sorriso lieve «Buona notte Viola.» Forse è il suo
modo per dirmi che va tutto bene. O forse per dirmi che la vita è così e le
cose, semplicemente, vanno come devono andare. Poi la Mercedes scivola via,
inghiottita dalla luce fioca dei lampioni, sulle tracce di una colonna sonora
lasciata in stand by troppo tempo.
(estratto da Viola, Vertigini e Vaniglia)
copyright Monica Coppola
Immagine realizzata da Maria Teresa Di Mise
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