mercoledì 30 dicembre 2015

Il capodanno di Viola: Valli di Lanzo, skype e... gamberoni!





Il capodanno di Viola: Valli di Lanzo, skype e... gamberoni!


«Esattamente come devo pulirlo questo?» con occhi interrogativi sollevo la coda di un grosso gamberone.
«Forse è meglio cominciare con qualcosa di più semplice. Che ne dici di queste?» zia Dalia mi passa una retina di cozze e vongole veraci. «Basta che le gratti ben bene.»
Siamo alle prese con i preparativi della cena di fine anno in cui ha deciso di coinvolgermi, nonostante io sia una schiappa ai fornelli.
Ma come sempre aveva ragione perché mi sto divertendo un mondo.
È il primo capodanno tutto per noi, lontane dalla floreale baraonda, e per l’occasione ha deciso di preparare un cenone memorabile.
Stamattina all’alba mi ha trascinata al mercato e poi ci siamo rifugiate dentro una minuscola caffetteria a parlare per ore, davanti a una tazza bollente di cioccolata, mentre fuori la neve cadeva soffice e silenziosa.
Era da tempo che non mi sentivo così in pace con me stessa. E ora sto anche apprendendo sul campo i primi rudimenti della cucina.
Quasi non ci credo. Dentro di me inizia a scorrere silenziosa una nuova linfa vitale.
Certo, anche Alex ha il suo merito.
Quando non è impegnato con le sue strabilianti torte, mi sta accanto, attento e premuroso, ogni secondo.
Adesso è tutto preso dalla realizzazione delle preziose miniature per Matilde. Ha detto che visto che è mia cugina non poteva assolutamente dirle di no e così si è rintanato in laboratorio da ieri sera.
Lentamente tutto inizia a sistemarsi.
O quasi…
«Ma cosa ti ha fatto di male quel mollusco?» zia Dalia interrompe il flusso dei miei pensieri e osserva divertita il mio lustrare energico sul guscio di una cozza. «Dobbiamo mangiarlo non esporlo in vetrina…»
«È che pensavo alla mamma. Dalla sera della festa non ci siamo più sentite.»
«Se può consolarti, sappi che anche con me non è di molte parole ultimamente. Ma, sai, lei è una che ha bisogno di riflettere a lungo sulle cose.»
«Lo so, però non ci siamo fatte nemmeno gli auguri di Natale e temo che per capodanno finirà nello stesso modo.»
Zia Dalia sistema i molluschi scintillanti in una grossa padella e alza gli occhi con aria furbetta. «Non è mica detto. Aspetta un attimo, forse mi è venuta un’idea…»
Poco dopo torna con un pc e inizia ad armeggiare con cavetti e webcam.
«Dai, vieni qui che ora proviamo a chiamarla con Skype.»
Come per magia sullo schermo si materializza il soggiorno di Villa Fiorita insieme ai volti curiosi di zia Iris e Gelsomina.
E le loro chiacchiere vivaci si catapultano subito dentro il nostro pacifico silenzio.
«E quindi non venite giù neanche per capodanno?» zia Iris controlla la tenuta dello smalto in gel. «Mati ed Edo sono già a Saint Moritz, e noi qui che facciamo da sole?»
«Sempre a lagnarti tu!» borbotta zia Gelsomina. «Ci facciamo la zuppa di lenticchie, il capitone e dopo giochiamo a carte.»
«Le carte mi annoiano… E poi io l’avevo detto di andare a fare il veglione al PalaIsozaki!»
«Poi arriva anche mio padre «Ciao Viola! Hai tagliato i capelli! Mi ricordi tanto quando eri bambina…»
Oh, è vero, hai tolto le extension!» zia Iris si tuffa nel monitor. «Hai fatto bene, ormai sono poco di moda. Si usa tanto lo shatush!»
E così passiamo quindici minuti a disquisire dei nuovi trend del capello, senza nemmeno scorgere l’ombra di mia madre.
La prima a congedarsi è zia Gelsomina. «Io ora devo andare a mettere a bagno le lenticchie però, sennò sono dure. Mi aiuti Iris?»
«Ah no! Tra dieci minuti devo fare il massaggio ayurvedico, anzi Viola ti saluto che vado a prepararmi!»
«Ti pareva che non toccava fare tutto a me!»
«Ti aiuto io Gelsomina…» una nuova voce fuori campo si materializza mentre il mio cuore accelera i battiti.
E finalmente intravedo il profilo elegante di mia madre.
«Mamma…»
Lei si volta e mi guarda nello schermo.
(…)
Viola, vertigini e vaniglia – Monica Coppola – Booksalad editore
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martedì 8 dicembre 2015

Tieni il Tempo.



TIENI IL TEMPO.

Vado veloce, corro come un Frecciarossa.

Ma il tempo è poco, sempre troppo poco.

E soprattutto passa troppo in fretta.

Specie se hai già 40 anni suonati e senti che, in un modo o nell’altro, metà della tua vita te la sei già sgranocchiata come un pacchetto di fonzies: se ti è andata bene ti sei leccato le dita, altrimenti hai goduto solo a metà. È la fretta di agguantare il tempo per dirgli ancora qualcosa di noi prima che scappi, per urlargli in fretta dal finestrino che "Ehi, guarda che non puoi svignartela così perché io voglio ancora fare questo, e anche quest’altro!”

Ma quello se ne frega, passa e fugge lo stesso.

Tu sei lì, davanti allo specchio che tormenti un comedone e cerchi di capire la destinazione d’uso del Tampax; l’attimo dopo sei ancora davanti allo specchio, solo che ora del Tampax non sai più che fartene , hai le zampe di gallina, le rughe di espressione e rimpiangi la spensieratezza dei tuoi pori otturati.

La scorsa settimana Madonna è tornata ad esibirsi a Torino.

Su Facebook sono comparsi i primi post del suo Rebel Heart Tour e io mi sono accorta che, in una passata di mascara waterproof, era trascorso qualcosa tipo un quarto di secolo, da quando, con tanto di fascia di pizzo sintetico stretta sui capelli ossigenati a colpi di Crystal Soleil e guarnizioni gommate fino all’avambraccio, mi dimenavo sulle note di Material Girl in compagnia di adolescenti arruffate e sognatrici come me.

Erano i tempi del suo “Ciao Torino? Siete caldi?”: noi la guardavamo esterrefatte, la stessa anima candida delle pastorelle di Lourdes, con gli occhi imbrattati di matita dozzinale fissi su uno schermo paffuto come le nostre guance, e i piedi a terra, ma non troppo, come è giusto che sia a quindici anni.

E poi i quindici sono diventati diciotto, attesi ardentemente per poter morsicare anche la libertà di andare ad un concerto dal “vivo". Che a casa mia prima dei diciotto eri agli arresti domiciliari e tutt’al più potevi andare a brindare a capodanno con la Ben Cola nei muffosi sotterranei dell’oratorio.

Però prima ti dovevi confessare eh, se no manco ti facevano entrare.

Il mio cuore neo maggiorenne iniziò a palpitare sulle note di Venditti, forse anche perché la “Notte prima degli esami” si avvicinava. La mia fervida fantasia mi portò a commettere il primo passo falso con la specie maschile: poi ne sarebbero seguiti molti altri...

Con occhi adoranti chiesi al mio fidanzatino di allora di partecipare al mio “battesimo musicale”.

Già mi vedevo due cuori (anche di panna perché era estate e il cornetto Algida era il simbolo nocciolato con cui scambiarsi amore eterno) un battito, tante canzoni.

Sfortunatamente lo sventurato rispose qualcosa del tipo: "Piuttosto traduco Catullo tutta notte ma Venditti manco morto." Reso esplicito in termini assai meno eruditi perché eravamo adolescenti di periferia e da noi il classico non lo faceva nessuno.  Andava per la maggiore un Istituto Superiore che sembrava un videogame, volgarmente conosciuto con l’acronimo di P.A.C.L.E.

Che stava per Perito Aziendale e Corrispondente in Lingue Estere.

In pratica uscita di lì, se eri molto brava, potevi fare l’impiegata poliglotta. Se ti andava male potevi giocartela come cassiera, che tanto il Mostro della GDA avanzava portentoso ed era pronto ad accogliere tutti sotto i suoi tentacoli. 

Se invece eri un maschio allora ti aspettava la FIAT.

Anche io sono stata figlia della FIAT e sono cresciuta pensando che questo enorme stabilimento che dominava corso Agnelli fosse un Mondo Parallelo che si risucchiava tutti i papà del mondo a fasi alterne: dalle 6 alle 14 o dalle 14 alle 22. Quelli più cattivi li intrappolava dalla 22 alle 6 così non potevano nemmeno dare la buonanotte ai loro bambini.

Però la FIAT mi voleva bene, perché a Natale potevo andare in giostra gratis e mi faceva anche un regalo, scelto in base all’anno di nascita.

Ecco, io mi beccavo sempre delle gran cagate, tipo il piccolo chimico, che veniva immediatamente riciclato sotto l’albero dei miei cugini maggiori perché tanto io avrei fatto esplodere tutto.

Me ne tornavo a casa arrabbiata e delusa desiderando i regali di chi era nato nell’anno “giusto”.

Mi sono passate sotto il naso non so quante Barbie e walkman che non ho afferrato per un soffio:  perché il tempo è così, si fa beffe di te anche solo per un anno in più o in meno.

Quando sei piccola pensi sempre che il tempo passi troppo lentamente.

Sei invaso da un’effervescenza, una smania di “fare cose” e invece i grandi ti dicono "di aspettare”.

Subito dopo l’Immacolata, ad esempio, a casa mia iniziava un viavai frenetico di Panettoni & Pandori e però niente, non ne potevi assaggiare nemmeno uno. Perché “Si doveva aspettare”.

Anche per mettere Gesù Bambino nella mangiatoia dovevi aspettare rigorosamente la mezzanotte del 24 dicembre.

L’effetto devastante di questi due divieti era che, passate le Feste ti ritrovavi a inzuppare nel latte panettoni fino alla Pasqua successiva dove, i parenti più arditi, tentavano di tagliare le fette di traverso spacciandole per Colomba.

Perché non si buttava niente.

Il bambinello invece finiva che, non potendolo sistemare nella sua bella mangiatoia, lo infilavamo distrattamente da qualche parte. Poi, puntualmente non ci ricordavamo dove.

E scattava il dramma. Partivano un putiferio di invettive, di accuse reciproche,  guarnite con tanto di recriminazioni d’annata, così potevamo anche mettere il flag all’atto quinto del Santo Natale ovvero “Scannamento sotto l’albero di luci intermittenti”.

Poi, siccome a Natale siamo tutti più buoni, prima dell’Epifania mio padre scendeva in cartoleria e comprava un nuovo bambinello.  Tanto dopo il 25 te li tiravano dietro sottocosto. 

Oggi guardo il Natale che arriva attraverso gli occhi delle mie “ragazze”.

Attacchiamo la pompa idrovora del pozzetto con l’acqua corrente,  le casette con la fiamma che sembra viva e mi torna in mente la bellezza di un laghetto costruito con un foglio di carta stagnola rubata di nascosto dalla credenza.

Mi ricordo la bellezza dell’albero spelacchiato e sintetico, sempre troppo basso, anche se io non sono mai stata un gigante.

La tenerezza delle pecorelle azzoppate e dei maiali: chissà perché, quando andavi a cercare le statuine nuove, angioletti non ne trovavi manco mezzo ma scrofe sempre in abbondanza.

Mi incantavo anche davanti al ventre dilatato del suonatore di zampogna che trovavo delizioso, anche se sembrava si fosse tracannato due pinte di Bionda prima di partire per Betlemme. 

E poi c’erano i cancelletti e i ponticelli in ferro battuto che costruiva il mio papà.

Io andavo a scuola nelle casette prefabbricate perché c’erano troppi bambini e l’edificio era troppo piccolo. Così a volte facevamo i turni ed uscivo alle diciotto, come i papà dei bambini “che stavano bene”  (i fortunati pargoli dei  white-collar worker, avrei scoperto in seguito). 

Che non portavano la tuta blu ma camicie dai colletti bianchi, inamidati.

Mio papà no, lui era una tuta blu: ma la indossava con un’eleganza e una dignità che è sempre stata parte della sua vita.

La sua creatività però era intrisa di tutti i colori e le cromie dell’Universo.

E sono quelli i colori che mi ha trasmesso. 

A me che inizio a scartare i panettoni appena cade la prima foglia d’autunno.

A me che il bambinello lo metto subito così ci fa compagnia e non me lo perdo chissà dove.

A me che in parte anche se sono “grande” voglio continuare, disperatamente, tenacemente, orgogliosamente, a credere nei sogni.

Perché so che lui avrebbe voluto così.


(copyright Monica Coppola, immagine Maria Teresa Di Mise, editing Stefania Crepaldi)

lunedì 7 dicembre 2015

Un Natale in "Viola": download gratuito fino a mercoledì!



A Natale siamo tutti più buoni.
Così Viola e Booksalad vi fanno un regalo di Natale in anticipo: da oggi e fino a mercoledì potete scaricare gratuitamente il romanzo su amazon . Con un semplice clic qui.
Tuffatevi nel caotico mondo di Viola e se vi va, divertitevi e staccate la spina.
Non quella dell'albero eh.
Quello lasciatelo brillare. Come i vostri sogni.
Ci vediamo domani con un post nuovo.
A cui io tengo molto.
Perchè il Natale a volte, scintilla anche un po' di malinconia.
Ma è bello lo stesso...








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La realizzazione grafica si deve a Maria Teresa Di Mise.
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L'editing è curato da Stefania Crepaldi che trovate al sito
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