sabato 8 dicembre 2018

Le Confessioni del pastorello



La Magia delle Feste riserva sempre gradite sorprese.
No, non sto parlando dell’agendina in similpelle datata – ops! – 2013 che vi è giunta in dono impacchettata di fresco e spacciata spudoratamente per nuova.
E nemmeno dei cioccolatini, incarto purpureo e sfavillante, maraschino e ciliegie, che appena messi in bocca (siete impavidi eh?) vi frantumano un molare con il nocciolo duro, unico superstite perché il guscio di cioccolato si è estinto diversi Natali fa. E il liquore idem.
C’è qualcosa che va oltre tutto questo, a cui calza a pennello il cappello diabolico Creatività Festiva.
Ovvero l'incitamento subdolo di qualche folletto maligno che ci induce, oltre ad essere più buoni e grassi, anche diversamente artisti. Proprio noi, che manco una sorpresina Kinder sappiamo montare. Che piuttosto che fare un pacchetto da soli – ma sapete quanto è difficile andare dritti con la forbice senza decapitare  i babbi natale? – ci disponiamo in pazienti file indiane dietro i banchetti della Croce Rossa, tutti baldanzosi perché possiamo anche mettere un bel flag fatto alla buona azione natalizia.
E quindi accade che l'estro creativo/festivo improvvisamente ci acchiappi e inizi a guizzare come un salmone nella stagione degli amori. E subito ci ritroviamo connessi a quella fantasia a banda larga, ringalluzzita da qualche tutorial,  che ci insegnerà a sfornare doni amanuensi, freschi di giornata e colla vinilica.
Perché regalare libri, cofanetti benessere o diamanti quando possiamo costruire un regalo ad hoc? Signori e signore la personalizzazione è servita. A buon mercato oltretutto.
Ma non pensate male, adesso. Mica si fa per tirchieria. Si fa per immenso amore verso il prossimo.
Perché un pensiero realizzato con le proprie manine, non ha prezzo.
«Guarda, sto confezionando dei portagioie con i rotoli della carta da cesso? Non sono diviniiii
«Oh, vedessi meraviglie si possono fare  con le scatolette di tonno sgocciolate! I nipotini impazziranno!»
Siete atterriti ora? No, suvvia. Una speranza c'è. Può essere che voi siate creature predilette dal fato e la maledizione dei doni hand made non si abbatta su di voi. E che il massimo della creatività che vi arrivi sia una pioggia di banconote da cinquanta piegate in simpatici – e graditissimi – origami.
Ma non cantate vittoria troppo presto.
Per la legge del contrappasso potreste beccarvi un altro ceppo del virus creativo, che intanto prolifera senza scampo: recite, balletti e cori natalizi.
Perché è così che funziona: allo scoccare dell’Immacolata qualcuno, anche il più insospettabile – parente, amico o conoscente – verrà da voi e cercherà di trascinarvi in qualche cappella gelida a battere le mani a ritmo di gospel, fingendo entusiasmo per quei cori di visi pallidi che la nostalgia dei Neri per Caso vi viene davvero.
E poi c’è Lei, La Rappresentazione per antonomasia: Il Presepe Vivente.
Che la viviate, o l'abbiate già vissuta, da figli, genitori, nonni o nipoti in fondo lo sapete: comunque vada sarà una tragedia.
Riflettiamo un attimo sull'assegnazione dei ruoli.
Dunque, se sei un maschietto adolescente e ti tocca Gaspare, Melchiorre o Baldassarre ti è andata bene. Te la giochi con il fascino da Tuareg, e se hai una parrocchia con un buon ISEE ci scappano pure un paio di giri del quartiere sul cammello. Che baccagli da paura.
Se sei un genitore e devi impersonare Maria o Giuseppe, ti va di lusso: stai al caldo dentro la capanna, illuminato dalla cometa, adorato dall’arcangelo e dalla folla in visibilio. Devi solo spenderti un dieci euro in mentine per combattere l'alitosi di bue e asinello, e il resto è fatto.
C'è chi se la passa decisamente peggio.
I pastorelli per esempio. Può ferire lo so, ma devo dirvelo. I pastorelli sono un mero riempitivo.
Un po' come la paglia nei cesti di Natale.
Ma hanno un'importanza molto strategica. Il pastorello è spesso l'unica e ultima speranza a cui i genitori si abbarbicano per evitare l'accampamento culinario del parentado. L'agognato pass  verso il  Liberaci dalla vigilia e amen.
Se avete visto genitori in coda fuori dalle parrocchie dall’avvento in poi, sappiate che sono lì per chiedere una grazia. O quasi. E cioè che al loro piccino sia assegnata una parte nel presepe vivente. Una qualsiasi.
Per farlo sono disposti a tutto. Anche a vestire di una lupetto color cacca e uno smanicato in finto agnello il loro adorato primogenito.
«Eh, mi spiace, i ruoli sono già stati tutti assegnati.» tentenna imbarazzato il prelato a Genitore Disposto a Tutto
«Ma suvvia, Paolino è tanto carino. Non si può aggiungere un angioletto?»
«Un angioletto? Impossibile! Per i putti c'è una lista d'attesa fino al 2025.»
«Eh non so... un re magio che Paolino ama talmente tanto gli animali?», rilancia Genitore Crucciato.
«No, no quest'anno i cammelli li facciamo di cartone. C'è crisi.»
Ma Genitore non demorde, insiste. Lascia intendere che Paolino potrà essere concesso in comodato d'uso ai fini parrocchiali fino alla quaresima.
A quel punto il prelato riflette. La proposta è allettante. Non è che i chierichetti lì trovi così sugli alberi. Ultimamente sono più richiesti degli sviluppatori Java.
«Va be’, forse un posto per Paolino lo posso trovare. Ci sarebbe una parte da pastorello. Tanto, uno più, uno meno.»
E allora Genitore Felice parte in quarta, arraffa lo smartphone e un godimento paragonabile solo a quello di Sally a tavola con Harry a presentazioni già fatte con  manda la sua missiva via chat di gruppo Parenti in Festa: A causa di impegni pregressi non ci sarà possibile organizzare la consueta festa di natale per voi carissimi e amati zii, prozii, cugini e consanguinei annessi. Paolino è stato coinvolto nel presepe vivente. Farà il pastorello! Sarà per il prossimo anno. 
A cui segue il definitivo e liberatorio "La famiglia Rossi ha abbandonato".
Ma intanto le feste corrono ed eccoci giunti alla sera della Vigilia: Paolino, con il bastone della campagna del nonno, buonanima, trema al freddo e gelo accanto ad altri sciagurati come lui. Gli trotterellano intorno tre barboncini dal pelo cotonato più del solito, per tramutarli in ovini credibili. (come detto prima c'è crisi e anche le pecorelle sono sold out).
Decide che dovrà essere assolutamente più buono perché una sciagura del genere non si può spiegare. Spera almeno che Gesù Bambino apprezzi il sacrificio e sotto l'albero gli faccia trovare l'iPhone8.
Ma guardando mamma e papà si sente in colpa: dovrebbe  imparare a vivere come loro il Natale, con lo stesso spirito.
I genitori di Paolino, in effetti, la luce negli occhi ce l'hanno davvero. Quest'anno gli è andata di lusso. Il veglione se lo sono  già fatto la notte del Black Friday dove hanno raccattato anche un huawei rigenerato ma tanto Paolino deve imparare l'umiltà e quindi ne ha che basta e avanza.
Ora si fanno una cantata veloce di Tu scendi dalle stelle, qualche manciata di segni di pace e poi, svelti svelti, quatti quatti tutti a casa.
A mettere on line le foto di Paolino.

 E a sbafarsi il panettone, quello buono eh, in beata solitudine. E perfetta beatitudine.

Copyright  Monica Coppola
Immagine realizzata da Alice Basso

giovedì 12 luglio 2018

Decadance di Miranda Martino





Alzi la mano chi declina il proprio anno come fosse un anno scolastico. Presente! Per me tutto finisce il   31 /08. Capodanno è il primo di settembre mentre gli ultimi giorni di agosto segnano il momento del bilancio: la pesa dei mesi trascorsi, il ricordo di ciò che di buono c’è stato, l’accantonamento delle voci in negativo, il revival di una modalità infida eppure attraente, come una palude travestita da laghetto di montagna: la lista dei buoni propositi. Ora però siamo a luglio e non è ancora tempo di bilanci ma di bilancia. Chi è quella scamorza riflessa nel mio specchio? Chi è quello sharpei in mutande e reggiseno che mi fissa come se mi conoscesse? Sono io. Già. Un girovita mollemente terrazzato che neanche le Cinque Terre. Se è vero che “mens sana in corpore sano” dalle mie parti la comunicazione mente corpo è interrotta. È caduta la linea. Come recuperare? Mi ponevo questa domanda un giorno che, trascinandomi in un negozio di videogame, cercavo un gioco da regalare a mio figlio. Qui deve essere accaduto qualcosa di inspiegabile, un momentaneo calo di tensione dei neuroni. Al risveglio ero alla cassa con in mano una copia di “Just Dance”. So che molti di voi conoscono questo gioco della Play Station ma lo descriverò a beneficio di chi, come me, vive nelle tenebre tecnologiche. Ci si pone davanti allo schermo tenendo saldamente in mano una sorta di cono gelato luminoso. È un controller a sua volta collegato ad una webcam che rileva i vostri movimenti. A questo punto si sceglie un brano e si balla, possibilmente seguendo la figura guida sullo schermo e cercando di imbroccare i movimenti giusti. Se ci riuscite la consolle vi elogerà come un mamma inglese che commenta la pagella del figlio secchione: good! Perfect! Innocuo nevvero? No. Quello che pare un karaoke danzereccio è un sanguinario harakiri.
Ho acquistato “Just Dance” con due obiettivi:
a) divertirmi con mio figlio                                                                 b) dimagrire divertendomi.
Avete notato che ho declinato per ben due volte il verbo “divertirsi”? Quante aspettative disattese. Sì perché:
a) mio figlio non è interessato al ballo e, quando mi asseconda, vince tutte le sfide perché ha capito che basta muovere la mano che tiene il controller nel modo giusto per prendersi i complimenti della consolle e accumulare punti. Per cui, interno giorno: un adulto e un bambino davanti allo schermo. Musica a palla. L’adulto si dimena come preda di un rito sciamanico e non prende un movimento, il piccolo sta fermo e muove solo la mano che tiene il controller. A voi la deduzione sullo stato mentale di entrambi.
b) ballare così non fa perdere un etto. Garantito. Ci guadagnate però tutti i dolori articolari censiti dal Ministero della Sanità .
Chi me lo ha fatto fare?
1981: Heather Parisi e le sue “Cicale”: ricordo che guardavo questa Barbie animata cantare: “delle cicale ci cale ci cale ci cale… della formica invece non ci cale mica…” e provava ad imitare la sua coreografia, più facendo le smorfie con la faccia che eleganti gesti motori.
1987: “Dirty Dancing”. Baby. La fanciulla bruttina e legnosa che impara a ballare e conquista il bello del villaggio turistico. Baby sei stata la mia eroina, la rivincita delle simpatiche vs le strafighe, la rivalsa al grido di: “nessuno può mettere Baby in un angolo!!!” Eccheccazzo! (N.d.A).
Ma ciò che ha realmente cambiato la mia esistenza è stato il film “Flashdance”: la storia di una saldatrice ballerina. Ecco, io ho più o meno l’agilità della saldatrice. Spenta. Ah Jennifer Beals, quanto ti ho invidiata e adesso che mi dimeno senza neanche la dignità dei tuoi scaldamuscoli, mi sento come Nanni  Moretti in “Caro Diario”:
(…) in realtà il mio sogno è sempre stato quello di saper ballare bene. Flashdance si chiamava quel film che mi ha cambiato definitivamente la vita. Era  un film solo sul ballo. Saper ballare. E invece alla fine mi riduco sempre a guardare, che  è anche bello, però è tutta un’altra cosa. 
Ogni giorno indomita provo a superare i miei limiti fisici, imponendomi un rigido protocollo: zampettare da una piastrella all’altra, stillare sudore e paralizzarmi dal dolore. Dalle stille alle stalle. Acciaccata vedo le stelle, talvolta anche la luna e mi sovvien Leopardi: la vita è fatica e lui lo ha ben scritto, incastonato in un fisico che pareva una beffa.
Che fai tu, luna in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna?
(...) Ma tu mortal non sei, e forse del mio dir poco ti cale.                                                                                                   

Cicale Cicale Cicale.

Copyright Miranda Martino

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