giovedì 12 luglio 2018

Decadance di Miranda Martino





Alzi la mano chi declina il proprio anno come fosse un anno scolastico. Presente! Per me tutto finisce il   31 /08. Capodanno è il primo di settembre mentre gli ultimi giorni di agosto segnano il momento del bilancio: la pesa dei mesi trascorsi, il ricordo di ciò che di buono c’è stato, l’accantonamento delle voci in negativo, il revival di una modalità infida eppure attraente, come una palude travestita da laghetto di montagna: la lista dei buoni propositi. Ora però siamo a luglio e non è ancora tempo di bilanci ma di bilancia. Chi è quella scamorza riflessa nel mio specchio? Chi è quello sharpei in mutande e reggiseno che mi fissa come se mi conoscesse? Sono io. Già. Un girovita mollemente terrazzato che neanche le Cinque Terre. Se è vero che “mens sana in corpore sano” dalle mie parti la comunicazione mente corpo è interrotta. È caduta la linea. Come recuperare? Mi ponevo questa domanda un giorno che, trascinandomi in un negozio di videogame, cercavo un gioco da regalare a mio figlio. Qui deve essere accaduto qualcosa di inspiegabile, un momentaneo calo di tensione dei neuroni. Al risveglio ero alla cassa con in mano una copia di “Just Dance”. So che molti di voi conoscono questo gioco della Play Station ma lo descriverò a beneficio di chi, come me, vive nelle tenebre tecnologiche. Ci si pone davanti allo schermo tenendo saldamente in mano una sorta di cono gelato luminoso. È un controller a sua volta collegato ad una webcam che rileva i vostri movimenti. A questo punto si sceglie un brano e si balla, possibilmente seguendo la figura guida sullo schermo e cercando di imbroccare i movimenti giusti. Se ci riuscite la consolle vi elogerà come un mamma inglese che commenta la pagella del figlio secchione: good! Perfect! Innocuo nevvero? No. Quello che pare un karaoke danzereccio è un sanguinario harakiri.
Ho acquistato “Just Dance” con due obiettivi:
a) divertirmi con mio figlio                                                                 b) dimagrire divertendomi.
Avete notato che ho declinato per ben due volte il verbo “divertirsi”? Quante aspettative disattese. Sì perché:
a) mio figlio non è interessato al ballo e, quando mi asseconda, vince tutte le sfide perché ha capito che basta muovere la mano che tiene il controller nel modo giusto per prendersi i complimenti della consolle e accumulare punti. Per cui, interno giorno: un adulto e un bambino davanti allo schermo. Musica a palla. L’adulto si dimena come preda di un rito sciamanico e non prende un movimento, il piccolo sta fermo e muove solo la mano che tiene il controller. A voi la deduzione sullo stato mentale di entrambi.
b) ballare così non fa perdere un etto. Garantito. Ci guadagnate però tutti i dolori articolari censiti dal Ministero della Sanità .
Chi me lo ha fatto fare?
1981: Heather Parisi e le sue “Cicale”: ricordo che guardavo questa Barbie animata cantare: “delle cicale ci cale ci cale ci cale… della formica invece non ci cale mica…” e provava ad imitare la sua coreografia, più facendo le smorfie con la faccia che eleganti gesti motori.
1987: “Dirty Dancing”. Baby. La fanciulla bruttina e legnosa che impara a ballare e conquista il bello del villaggio turistico. Baby sei stata la mia eroina, la rivincita delle simpatiche vs le strafighe, la rivalsa al grido di: “nessuno può mettere Baby in un angolo!!!” Eccheccazzo! (N.d.A).
Ma ciò che ha realmente cambiato la mia esistenza è stato il film “Flashdance”: la storia di una saldatrice ballerina. Ecco, io ho più o meno l’agilità della saldatrice. Spenta. Ah Jennifer Beals, quanto ti ho invidiata e adesso che mi dimeno senza neanche la dignità dei tuoi scaldamuscoli, mi sento come Nanni  Moretti in “Caro Diario”:
(…) in realtà il mio sogno è sempre stato quello di saper ballare bene. Flashdance si chiamava quel film che mi ha cambiato definitivamente la vita. Era  un film solo sul ballo. Saper ballare. E invece alla fine mi riduco sempre a guardare, che  è anche bello, però è tutta un’altra cosa. 
Ogni giorno indomita provo a superare i miei limiti fisici, imponendomi un rigido protocollo: zampettare da una piastrella all’altra, stillare sudore e paralizzarmi dal dolore. Dalle stille alle stalle. Acciaccata vedo le stelle, talvolta anche la luna e mi sovvien Leopardi: la vita è fatica e lui lo ha ben scritto, incastonato in un fisico che pareva una beffa.
Che fai tu, luna in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna?
(...) Ma tu mortal non sei, e forse del mio dir poco ti cale.                                                                                                   

Cicale Cicale Cicale.

Copyright Miranda Martino

1 commento:

  1. Ciao, sono una nuova follower; complimenti per il blog e belle recensioni! Se ti va ti aspetto da me come lettrice fissa, qui la mia ultima recensione
    http://ioamoilibrieleserietv.blogspot.com/2017/08/recensione-serie-broken-souls-sagara-lux.html

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