venerdì 19 maggio 2017

Ecco a voi...Massimino Dé Gorgus!


Questa volta sul blog arriva un ospite speciale Massimino Dé Gorgus, che forse avrete già avuto il piacere di leggere sul Diario di Adamo di Vanity Fair.
Chi si nasconde dietro questo pseudonimo?
Ecco alcune opzioni:
1) Un professore di spagnolo con la passione per i monologhi umoristici e un debole per le rotelline di liquirizia;
2) Il cugino di sesto grado di Andrew Crofts; 
3) Uno stimato professionista che di giorno rimbalza da regione a regione ma, al calar delle tenebre, si diletta con penna e calamaio;
4) Elena Ferrante.

Io sono stata fortunata perché ho avuto il piacere di incontrarlo.
E, con la mia faccia tosta, gli ho chiesto se aveva voglia di scrivere qualcosa qui.
Lui, sprezzante del pericolo e del rosa, ha accettato.
E siccome è un galantuomo ha aperto la portiera della sua macchina (usata ma tenuta bene) e ci ha fatto entrare...
IL PRIMO MOTORE MOBILE
di Massimino Dé Gorgus





Ebbene sì, ho comprato l'auto nuova. In realtà usata, ma tenuta bene. Anche perché la mia fidanzata insisteva. D'altra parte è giusto venire incontro alle esigenze della propria donna. Sennò, quando usciamo la sera, dove potrebbe buttare i kleenex dopo essersi soffiata il naso, e i chewing-gum masticati, strizzati nella stagnola e col prolasso?
Perché non dimenticatelo: un calzino inopinatamente dimenticato per terra in bagno è il sacrilegio massimo, l'affronto indelebile che potete fare alla donna con cui convivete.
L'automobile invece è la dimostrazione che esiste un mondo parallelo, fatto di antimateria. Quella che lei deposita senza sensi di colpa nell’abitacolo.
E allora, alle tue flebili proteste dopo aver trovato la cartaccia d’un Mon Chéri trasudante cioccolato nel cruscotto, fra la Carta di Circolazione e i documenti dell'assicurazione, ti sentirai rispondere che sei un fissato. Che vuoi più bene all'auto che a lei, che gli oggetti non devono diventare status symbol. Mentre ti intima di prenderle la borsa Gucci sul retro, perché lei si sta allacciando le scarpe Manolo Blahnik e non ci può arrivare.
Che poi a me dell'auto non è mai interessato un granché. E non lo dico per fare l'intellettuale da strapazzo, di quelli che amano uscire con "Avere o essere?" di Fromm sotto il braccio. E poi se lo slogano, il braccio, per farsi il selfie tutti emozionati quando scorgono in centro una Ferrari. Di solito parcheggiata rigorosamente in divieto di sosta.
No, io le auto non le conosco davvero. Soprattutto i modelli.
All'esame di scuola guida il mio problema più grande fu quando l'ingegnere della motorizzazione mi intimò: "Accosti dietro al 105".  Mi avesse detto almeno il colore!
Avrei evitato nella strada a senso unico l'inversione per cercare i numeri dispari. E l'inspiegabile bocciatura.
Ma quando finalmente ho avuto il pezzo di carta, la mia vita è cambiata totalmente. E non sto parlando della laurea, ma della patente. L'unico attestato che in Italia ti permette di fare un po' di strada.
E che ti fa entrare nel mondo adulto, quello fatto di competizione vera e assenza di pietà.
Perché da bambino ti insegnano che devi aiutare ad attraversare la signora anziana che cammina piano. Da grande e patentato ti ingiungono che se non le sbraiti contro, alla vecchia che guida piano, sei un mezz'uomo. Sfigato, e pure impotente.
A maggior ragione se non accetti anche tu di scatenare l'inferno nell'arena gladiatoria della zona semaforo, in città come Milano. Dove ormai vige la clacsonata preventiva, quella di chi suona ora col rosso perché il verde si accenderà poi. E inveisce contro quelli davanti nella fila, colpevoli di non essere ancora scattati in falsa partenza.
Ma in fondo nelle metropoli puoi sempre evitare di prendere l'auto e affidarti ai mezzi pubblici. Che ti permettono, anche nella frenesia della giornata lavorativa, di ritagliarti del tempo per riflettere. E apprezzare ancora una volta l’immortale saggezza di Eraclito l’Oscuro e il suo apodittico “panta rei”, tutto scorre. Tutto, tranne evidentemente l’autobus dell’ATAC che stai aspettando da un paio d'ore, sotto la pioggia, a Roma.
Devo ammettere invece che i viaggi lunghi in auto, quelli verso città lontane, hanno ancora un loro fascino, un’aura d’avventura.
Lì, in autostrada, l’esistenza ti rende partecipe dei più archetipici stadi sul cammino della vita: le epopee del nomadismo, le transumanze rituali, i viaggi iniziatici. E la sosta pipì all'Autogrill.
Che è l’unico aspetto del tragitto che in realtà ti dà appagamento. Perché appena accosti, già pregusti la soddisfazione di sapere che tu potrai entrare trotterellando nel bagno per gli uomini. Mentre la tua fidanzata, con gli occhi imploranti che ti guardano allontanarti, si accoda all’ultimo posto nella fila delle donne: un serpentone tipo Centro Commerciale di Tokyo all’uscita del nuovo modello di iPhone.
Così poi in bagno davanti all’opera di Duchamp, mentre stai facendo affogare il dischetto di canfora, hai la conferma che qualche prerogativa nell'essere nato maschio ce l'hai ancora. E forse almeno questa non cambierà mai.
Dopo ti lavi le mani, di solito solo se già c'è stato qualche scambio d'occhiata coi presenti, e ti asciughi. Ma qualcuno li ha mai sperimentati davvero i phon per le mani? Perché diciamocelo, quell'arietta tiepida zufolata non ha mai asciugato nessuno. Di sicuro non le mani pelose come le mie, che le ho tipo la Bestia di Disney. E alla fine mi tocca sempre strusciare i dorsi umidi sui pantaloni e fare la figura dell'incontinente.
Ma adesso, con gli sviluppi galoppanti della tecnica, hanno inventato i nuovi asciugatori, quelli a fessura, tipo bocca della verità. Che, mentre ci infili le mani, ti chiedi sempre se ne usciranno fuori. E che quando si attiva il flusso d’aria, ti viene da pensare: “Ma qua dentro, tutte ’ste gocce nebulizzate coi batteri degli altri ora finiscono sulle mie dita?”.
Ma non c’è tempo per riflettere: appena esci dal bagno, individui lei che adesso sta aspettando al terzultimo posto della fila. E le dici: “Cara, ti prendo un kleenex dalla borsa”. E invece le freghi il portafoglio. Così non potrà comprare tutte quelle schifezze, tipo chewing-gum e Mon Chéri.
Che sennò se li mangia mentre guidi. E poi ti fa trovare tutte le cartacce trasudanti cioccolato nell'abitacolo della tua automobile appena comprata nuova. In realtà usata, ma tenuta bene.

copyright Massimino Dé Gorgus

Vi è piaciuto questo viaggio sulla macchina del Dé Gorgus?
Le mie ansie da parcheggio, le clacsonate al giallo e compagnia bella, ve le avevo già raccontate qui.
Ora la parola a voi, cari lettori.
Volete fare una class action a difesa delle vecchiette sulle strisce pedonali e non? Avete un'idea per brevettare una choco-car-bag adatta all'incarto dei Mon Chéri?
Massimino ed io aspettiamo manie e confessioni di patiti d'auto (e non) cinguettando a @MDeGorgus e @violavertigini.
Raccontateci in che modo appallottolate i kleenex e se, anche voi, soffrite di ipocondria da asciugamani a fessura.
Noi, intanto, pensiamo a come organizzare il prossimo viaggio in blog ;)








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