Con una certa ansia riprendo a
guardare i bambini che, tutti eccitati, non vedono l’ora di far sapere la loro
opinione.
Mi piacerebbe poter fare
altrettanto.
Anche perché non trovo affatto
giusto che il mio destino e quello del tacchino siano nelle mani di Deborah,
cinque anni e mezzo, futura promessa del pattinaggio artistico, che preferisce
le Winx alle Witch o Jacopo, sei anni e mezzo, che impazzisce per il budino con
le macchie e non si perde una puntata di Scooby Doo.
Per non parlare del bulletto Mattias
che, piercing al lobo sinistro e taglio alla El Shaarawy, continua a smanettare
sulla Nintendo infischiandosene degli altri.
Vorrei tanto che Emma fosse qui con
me!
Mentre Mikaela sgranocchia salatini
in assoluto relax io sono sempre più irrequieta.
Più i bambini parlano, più la
lancetta avanza, più il mio stomaco si chiude a riccio.
Poldino è stato vivisezionato in
parti come l’ultimo dei tacchini al banco macelleria.
Il piccolo Jacopo ha dichiarato,
senza esitazione alcuna, che non leggerebbe mai le storie di un tacchino con
l’aria da sfigato. La dolce Deborah ha sentenziato che, se nella storia non
c’è almeno una saccagnata di botte con svolazzata nei cieli e scambio di
superpoteri, lei non è interessata. L’intrepido Mattias ha detto che, se
magari facciamo un paio di tattoo a Poldino e poi lo accoppiamo a una bella
pollastra con la quinta di petto, forse, potrebbe anche chiedere alla mamma di
compragli un paio di volumetti.
«La quinta di petto? Ma di chi sono
figli questi?» esclamo saltando dalla sedia.
Ho sentito abbastanza. È ora di
prendere in mano la situazione.
Sconvolta abbandono temporaneamente
l’infernale Sala degli Specchi. Devo parlare con Tancredi.
Subito.
E capire che sta succedendo.
Nei corridoi incrocio Fassani
intento a corteggiare la nuova receptionist con aforismi degni dei tweet di un
tronista. Lo supero e senza bussare entro come un’infuriata cariatide
nell’ufficio di Tancredi.
«Quei piccoli mostri stanno
distruggendo tutto il mio lavoro!»
Lui solleva lo sguardo dal pc,
sposta velocemente una tavola da disegno e mi guarda come un’aliena piombata di
colpo accanto alla sua scrivania.
«Viola? Ma cosa stai dicendo?»
«I focus!» spiego allarmata. «Stanno
andando malissimo! I bambini dicono cose improponibili e il tacchino gli fa
schifo! Per favore, vieni a vedere…» lo supplico.
Poi sento una voce provenire dallo
schermo. «Tancredi, ça va bien? Qui est là?»
E immediatamente identifico la
suadente dizione della Fata Francese dai lunghi capelli corvini.
«Senti Viola, ora proprio non posso.
Ho una cosa urgente di cui occuparmi» mi liquida senza tanti complimenti.
Resto immobile e zitta.
All’improvviso mi sento fuori luogo
come un granello di sale grosso finito nella sfoglia di un croissant.
Imbarazzata farfuglio una scusa e,
con le idee più confuse che mai, rientro nella Sala degli Specchi.
Mikaela è intenta a prendere appunti
sul suo tablet.
«Qualche novità?» domando
speranzosa.
Scuote il capo e digita in
grassetto. «Il progetto Poldino non supera il field-test.»
«Ma non si può fare un’altra prova?»
chiedo con un nodo alla gola.
Lei assume un’espressione di chi la
sa lunga. «Direi di no. Il reclutamento è stato affidato a un’agenzia rigorosa.
Non ripetiamo mai, se è tutto regolare» poi posa il tablet, apre il frigobar e
si stappa allegramente un crodino.
(...)
Estratto da Viola, vertigini e vaniglia - Monica Coppola - Booksalad
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