È la notte del solstizio d’estate
e mentre dall’altra parte dell’emisfero la nostra nazionale si flagella per quel
goal di Ruiz al quarantaquattresimo, io mi barcameno tra i dubbi last minute di
una promessa sposa e quelli di una studentessa a poche ore dall’esame orale.
Per essere più precisa cerco di
confortare la fatina M. sottovoce e in bilico nell’unico microangolo libero del
letto, alla luce di una candela profumata alla viola, tanto per dare una nota
romantica alle mie notti visto che il mio coinquilino rantola rumorosamente sul
lato destro del talamo nuziale e la piccola C. ha invaso la restante piazza e
mezza e riposa beata, distesa a stella marina.
«Vedrai che il vestito sarà
perfetto…»
«Non mi allarga i fianchi vero?»
«Ma se hai un vitino di vespa!»
«Dovevo prenderne uno stile impero così potevo divorarmi l’intero
buffet degli antipasti…»
«Qualcosa mi dice che non avrai
molto appetito…»
«A proposito di appetito… Secondo
te avrò fatto bene a mettere il flan di asparagi con la fonduta di toma
d’alpeggio? E se non stanno bene insieme?»
«Stai tranquilla. Non credo che
qualche invitato si faccia domande sulla liason
tra l’asparago e la toma. Quelli mangiano e basta…»
«Sì, sì hai ragione. E il risotto
al prosecco mantecato al Castelmagno? Sarà mica indigesto?»
«Si papperanno pure quello
vedrai.»
«Tu dici? Beh speriamo… e
speriamo anche che non piova…» sospiro dall’altra parte della cornetta «E se
invece piove?»
«Ci sarà il sole però tu ora
riposa. Che mancano meno di 24 ore al grande giorno!»
«No, no non ricordarmelo. Se no
vado nel panico!»
«Mà non riesco a dormire…» F. a
piedi nudi e pigiama a righe “stile
condannato” e immancabile smartphone trasformato in torcia luminosa per
l’occasione, mi appare davanti insieme a tutto lo staff dei timori, dubbi e
inquietudini esistenziali della notte prima degli esami unite alle paturnie evergreen di una quattordicenne.
Congedo la sposa rassicurandola sulle
condizioni meteorologiche avverse previste per il weekend e passo ad occuparmi
di F.
«È normale. È la tua notte prima
degli esami. Capita a tutti» e le accarezzo i capelli scompigliati.
«Anche a te?»
Io annuisco «Quando facevo gli
esami sì. Sempre»
«Non mi ricordo niente…»
«Ti ricordi tutto. Ti ho sentita
solo poche ore fa…»
«Sì ma ora non mi ricordo niente…»
poi guarda con aria speranzosa il minuscolo spazio libero a bordo del letto
«Posso dormire qui?»
L’ennesimo rantolo del
coinquilino spezza il silenzio e affloscia anche la fiammella della mia candela
profumata.
«Ehm… forse è meglio se vengo io
di là da te…»
Ci spostiamo di camera, chiudiamo
le porte e finalmente assaporiamo i primi minuti di silenzio di questa strana
notte. Ma non ne passano molti che…
«Mà…» mi chiama ancora. Io mi
aspetto l’ennesimo quesito pre esame e invece come un’interrogazione non
programmata, mi arriva a sorpresa una domanda tutta nuova «Com’eri tu alla mia
età?»
“Eh insomma” vorrei risponderle…
Ho dei flashback delle fasce di
pizzo che mi mettevo in testa come fan della signorina Ciccone, dei
lucidalabbra pastosi alla fragola che immancabilmente si scioglievano nelle
tasche degli shorts che tagliavamo con la forbice sopra le ginocchia.
Ripenso alle montagne di “Cioè”, “Ragazza In” e “Dolly” arraffati
dalle edicole e divorati nei sottoscala con le amiche per capire che caspita
significava “petting” e carpire ogni segreto del bacio alla francese.
Erano altri tempi, lontani da
internet e da facebook. I ragazzi, quando ti andava bene, li conoscevi giocando
a pallamuro e li baciavi giocando a nascondino.
Fiorello aveva ancora il codino e
Jovanotti era posseduto da uno pseudo avatar che portava il cappello da basket
al contrario e voleva a tutti i costi diventare presidente.
Steve Jobs aveva inventato il
primo Mac ma io non me n’ero nemmeno
accorta: quando parlavi di computer pensavano tutti al Commodore 64 annesso di Pacman
e fantasmini bicolore.
A volte ci si rannicchiava sul
divano con gli amici a vedere qualche film del terrore preso a noleggio tanto
per tirare fuori un po’ del nostro coraggio di neo adolescenti di fine anni
Ottanta.
Anche se io sinceramente mi
nascondevo gli occhi con le mani e tremavo di paura.
Proprio come la notte prima degli
esami.
Perché quella paura lì, in fondo resta
sempre la stessa, quella che ora ha F.
Anche se in mezzo è passato un
trentennio…
«Più o meno come te ma senza
facebook e smartphone…» le rispondo alla fine della mia lunga riflessione.
«No dài, ma che sfiga…» ribatte
subito convinta. Anche perché le sembra impossibile pensare che è esistito un
tempo in cui se sentivi una canzone che ti piaceva un sacco, non avevi
alternativa che aspettare che il pezzo passasse alla radio per poi pigiare in
concomitanza il tasto “rec” del tuo stereo, sperando che la cassetta mangianastri
avesse ancora spazio e che quel deficiente dello speaker non ci parlasse sopra.
Altro che l’app Shazam…
«Beh allora era normale così…»
«Molto meglio essere una ragazza
del duemila.» Aggiunge fiera lottando con uno sbadiglio. «Secondo me quando eri
giovane tu era una noiossima palla…» e riflettendo sul contesto sociale sfigato
e offline della mia adolescenza, si gira pacifica su un fianco e scivola
lentamente tra le braccia di Morfeo…
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