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domenica 11 dicembre 2016

Non sbucciate quel mandarino ( e state alla larga dalla tombola)



Ho con il Natale un rapporto particolare. Qualcosa di molto simile a quelle relazioni adolescenziali che ti si appiccicano addosso tipo chewing gum sotto il banco, in perenne oscillazione tra il dobbiamo parlare e il confettoso mantra l’amore vince su tutto.
Una sorta di odio/amore da teenagers, per cui un giorno sciogli in lacrime e fazzoletti scottex tre tubetti di mascara; e quello dopo sei sciolta tu, labbra e lip gloss incollate a quello che, ora ne sei certa, è sicuramente l’amore della tua vita.
Almeno per le prossime 48 ore…
Il cuore un giorno su e l’altro giù, in un elettrocardiogramma senza pace.
Come il mio umore dall’Avvento in poi.
Penso ai regali. E mi esalto.
Penso ai regali. E annaspo.
Penso al pandoro. E sorrido.
Penso alle calorie del pandoro. E vado in panico, la coscienza sporca come le labbra di zucchero a velo. Ma comunque la fetta – centrale grazie e mai la prima che viene sempre striminzita – non la mollo.
Insomma non se ne esce. O se ne esce a fatica e un po’ acciaccati, come dai primi amori.
Quando ero 
piccola a casa mia subito dopo l’otto dicembre iniziava un viavai frenetico di Panettoni & Pandori e però niente, non ne potevi assaggiare nemmeno uno. Perché si doveva aspettare. L’effetto devastante di questi due divieti era che, passate le Feste ti ritrovavi a inzuppare nel latte quelle fette, ormai mummificate, fino alla Pasqua successiva. Perché non si buttava via niente.
E anche se ti innamoravi di un ragazzo e ci volevi fare delle robe dovevi aspettare.
Il candore, come i canditi, aveva i suoi tempi. E toccava mettersi l’anima in pace. In pieno spirito natalizio.
Per cui 
l’albero si faceva l’otto dicembre, non si baciava mai al primo appuntamento, e comunque pure se eri al terzo o al quarto, era bene tu lo facessi in panchine non visibili all’orizzonte del capofamiglia. Se no le feste ti aspettavano direttamente a casa. Al rientro.
Nonostante questo, 
tutto sembrava magico: anche un foglietto di stagnola per fare il laghetto.
Pure il suonatore di 
zampogna che aveva il ventre dilatato come se si fosse scolato due pinte di birra prima di partire alla volta di Betlemme. Che fosse colpa di una svista di Gaspare?

continua sul   Diario di Adamo

illustrazione di Alice Basso, editing Stefania Crepaldi

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