Ore
15.30
Dopo una tappa obbligatoria dall’
estetista per debellare eventuali cenni di irsutismo e dal fidato Maestro di Haute coiffure, che ha
lottato a colpi di piastra e brush per domare il mio carré, sono di nuovo a
casa. Sto bene, se non fosse per un allegro trio di polpette alle melanzane che
mi fa girotondo nello stomaco. Non dovevo, lo so. Il saggio amico attore mi
aveva vivamente raccomandato di fare solo un pasto leggero. Ma poi io sono
passata a portare i biglietti d’ingresso al Salone a casa di mia suocera e le
polpette erano lì, fumanti e appetitose e io per settimane mi sono nutrita solo
di vegetali e gallette e… quindi è andata come è andata. Mi consolo pensando
che almeno avrò più energie per questa sera.
Mancano ormai una manciata di ore che
non stanno dentro una mano, come io non sto più nella pelle. Mi arriva una
nuova ondata di timori, tremori e trepidazioni.
Calma e concentrazione. Niente panico.
Adesso faccio gli esercizio sconfiggi ansia che ho imparato ieri. Prendo il
tappetino in lattice espanso e il mastodontico vocabolario di Latino di
Francesca.
Mi sdraio e appoggio IL CASTIGLIONE MARIOTTI sull’addome, iniziando
a concentrarmi sulla respirazione. Inspira, espira. La mia pancia si gonfia e
sgonfia come un palloncino.
In effetti funziona: mi sto davvero
rilassando. Anche troppo perché ad un tratto l’adrenalina cala e mi arriva una
botta di abbiocco. Sono le 16, magari un micro pisolino ci può stare.
Così stasera sarò fresca, riposata e,
tra polpette e sonnellini, piena di energia… spero.
Sprofondo tra le lenzuola e piombo in
un sonno profondo per circa dieci minuti. In cui accade di tutto. Microfoni che
non funzionano, scene mute, vestiti con la zip che non si chiude, congiuntivi
cannati in pieno.
Mi risveglio agitata e sudata a
dimostrazione che il fenomeno di traspirazione avviene anche nel mio corpo. Solo
nei momenti meno opportuni, ecco.
Il relax precedente è svanito, come la
mia piega, che è incautamente spirata, pressata tra i cuscini del mio fatale
riposino.
Francesca, che sta vivendo con serenità
pacifica il mio debutto, godendosi l’assenza della sorellina minore che abbiamo
esiliato dalla nonna paterna, mi osserva preoccupata.
«Hai tutti i capelli schiacciati»
afferma senza pietà tornando immediatamente a concentrarsi sulle prove di Amici del duetto di Briga/Tiziano Ferro
che, a causa mia, sarà costretta a perdersi.
«Va beh, dopo mi passo la piastra»
fingo indifferenza e metto su la moka. In questo stato di tensione la caffeina
mi farà solo solletico. O al massimo disintegrerà le melanzane.
«Senti Francy mi ascolti mentre provo
ad improvvisare il discorso di questa sera?»
«Devo proprio?», scrollando le spalle, «Tanto
devi improvvisare, no?»
«Sì, sì. Però giusto per capire i
tempi, se mi impappino e se ha un senso quello che dico.»
Lei sorseggia un estathè alla pesca, con lo sguardo fisso alla De Filippi che cerca
di convincerci, senza crederci per niente, della bontà dei confetti mandorlati.
«Okay, però vai nell’altra stanza, io
ti sento da qui», mi concede extrema
ratio, «Sbrigati che tra poco la televendita finisce.»
Acconsento anche perché i miei margini
di trattativa sono piuttosto limitati in questo momento.
Vado in camera da letto, respiro e mi
metto davanti allo specchio.
“Sicurezza, padronanza dello spazio” ha
ripetuto ieri l’attore allenatore. “Respiro di pancia e non di gola. Serenità.
Gioia. È un momento bello. Non vai al patibolo.”
Già, ha assolutamente ragione, tutto vero.
Ma allora chi è quell’esserino pallido e tremolante con il carré arruffato che
mi osserva dallo specchio?
Ore
17.00
Francesca dorme beata come un
angioletto e io non posso crederci.
Uno perché detesta i pisolini come i
carciofi lessi e due perché inizio a pensare che il mio discorso abbia effetti
soporiferi. Il che, a meno di quattro ore dalla presentazione in Sala incubatore,
mi inquieta un tantino.
«Francy! Sveglia!», la scuoto
preoccupata, «Ma che fai dormi?»
«No, no… ti sto ascoltando…» biascica
lei senza nemmeno aprire un occhio. Io spengo la tv e lei si gira, beatamente,
dall’altra parte. Ormai quello che è fatto è fatto. Tra due ore verranno a
prendermi ed è ora di sistemare il look.
Guardo la minacciosa guaina super
modellante che ho acquistato completamente sedotta dall’invitante claim “Due taglie in meno in due minuti” e
penso che se la indosso rischierò l’iperventilazione.
La rimetto nel cassetto confidando
nella rassicurante inquadratura a busto
garantita dal tavolino di protezione dietro cui parleremo.
Indosso il vestito con le farfalle
bianche e rosa che penzola dall’armadio in attesa del suo momento e quando
guardo l’effetto finale gli angoli delle labbra si piegano all’ingiù. L’ho
provato e riprovato, eppure non mi piaccio per niente!
Il giubbottino mi insacca e mi scalda,
ma con le spalle scoperte mi sento a disagio.
«Basta! Vado in jeans!», impreco a me
stessa, «Almeno sono più naturale.»
«Ma se tu i jeans non li porti mai!»
Francesca, che nel frattempo è riemersa dal suo letargo, mi osserva incuriosita
«E non importa! Inizio da stasera.», ribatto
con la testa dentro l’armadio, «Adesso ne trovo un paio e…»
«Hai comprato almeno tre vestiti
diversi. Ci rompi le scatole da mesi con ‘sta storia. E se adesso vai in jeans papà
ti uccide. E anche io.» mi minaccia pacatamente.
In quel momento mi ricordo dell’abito a
fiori e tulle che abbiamo scelto insieme la domenica prima. Era stato amore a
prima vista e tanto ho fatto che me lo sono portato a casa.
«Che ne dici di questo?»
«Dico che tra mezz’ora ti vengono a
prendere e sei ancora in mutande. Vedi un po’ tu…»
Sbircio l’orologio ed ho un brivido.
Infilo l’abito e allaccio i sandali, trampolando e ticchettando fino al bagno. Ripasso
la piastra, spennello la cipria, mordicchio le labbra, lotto con il piegaciglia.
E poi basta, decido di non guardarmi più.
La parola d’ordine non è perfezione ma
naturalezza, spontaneità.
Intanto il citofono suona. Apro e qualche
istante dopo sono sommersa dagli amici e da una cascata di fiori viola. No
ragazzi, così non vale…
Non capisco più niente. Il cuore
impazzisce, il cervello anche, il mascara, irrimediabilmente, cola.
Mi ritrovo nell’auto in direzione Salone
e penso che se la felicità ha un profumo, credo sia un misto di viola e di
vaniglia.
Ore
20.30
Finalmente ci siamo tutti.
Gli attori che daranno vita alle pagine
del romanzo, Gessica che è appena arrivata da Marsiglia, la mia editrice Anna
Sophie e Maria Teresa che, suo malgrado, è stata coinvolta in questo sorprendente
e disordinato caos come illustratrice e come amica. Proviamo a coordinarci e a
dominare le emozioni. Gessica e gli attori sono assolutamente tranquilli.
Io, Mary ed Anna Sophie pagheremmo per
scappare all’istante.
Mentre sono concentrata vedo un volto
familiare, anzi tre avanzare con aria minacciosa nell’angolo remoto in cui ci
siamo rifugiati per trovare un momento di tranquillità prima del debutto.
A passo deciso, quasi sommerso da un
plateaux di viole del pensiero, mio marito avanza verso di noi, seguito a ruota
da mia madre e da mia figlia Francesca che invece si guarda intorno curiosa
alla ricerca di qualche vip di passaggio con cui farsi un selfie.
Impettito nel suo abito della festa, a
cui chissà perché ha abbinato un giubbino antipioggia che si ostina a tenere
nonostante l’effetto serra da salone, piomba nel bel mezzo delle nostre prove,
piazzandomi le violette sotto al naso, «Ti stiamo cercando da un’ora! Ti ho
fatto decine di chiamate!»
Io guardo quello che fino a poche ore
prima è stato un paziente e amorevole marito e che ora ha assunto le sembianze di
un Fioraio Furioso, restando senza
parole.
Gli altri cinque paia di occhi
oscillano dalla sottoscritta all’avatar del mio coniuge.
Immancabile, colossale,
indimenticabile, figura di m...!
Lancio uno sguardo d’intesa a Francesca
che mi sembra l’unica calma perché mia madre nel frattempo , dopo avermi indirizzato
un veloce saluto, è accorsa allo stand di fronte tentando di accaparrarsi una
borsa in rafia omaggio.
Dopo aver reindirizzato il mio
parentado verso la Sala Incubatore,
riprendiamo da dove eravamo stati interrotti. I tempi sono strettissimi, manca
un microfono e il panico rischia di prendere il soppravvento.
Gessica mi aveva preparato al caos e
agli intoppi tecnici del Salone ma, dal vivo, è tutto diverso.
Mentre avanzo verso la Sala Incubatore, mi ricordo le parole di
ieri «È una festa, un momento di gioia. La realizzazione di un sogno.»
Intravedo alcuni volti amici, vorrei
già fermarmi ad abbracciare e chiacchierare ma non c’è tempo.
La sala si sta riempiendo. Le persone
care hanno mantenuto la parola e sono tutte qui con me.
Sento la loro energia, l’affetto. Non
lo dimenticherò mai.
Ma ci sono anche delle blogger, alcuni
incuriositi dalla folla ed altre persone che non conosco.
Ripenso a questi tre anni di fatica, di
passione di tenacia. A chi è seduto accanto a me ed ha dato un contributo indispensabile
per trasformare la mia idea in un romanzo vero.
A Gessica che mi ha accompagnata facendo
germogliare la mia idea.
A Maria Teresa che ha disegnato la
copertina, la locandina, le cartoline i segnalibri e che fa tutto al solo
prezzo della nostra amicizia.
Ad Anna Sophie di Booksalad che si è
presa il rischio di investire in una perfetta sconosciuta molto chiacchierona,
piombata al Salone con il suo manoscritto.
Le luci si accendono ed illuminano le
copie del romanzo disposte accuratamente accanto a noi.
Ho quasi l’impressione che Viola dalla
copertina mi strizzi l’occhio per dirmi che è pronta al debutto. Vuole uscire
dal cassetto. Vuole farsi leggere.
Non mi ricordo più un’acca delle
tecniche antipanico e di dizione, sono già a salivazione zero ed ho le mani
ghiacciate.
Mi guardo intorno. Respiro il brusio di
trepidazione, inspiro l’aria di felicità e sorrido.
Adesso sono pronta anche io.
Le "zie" floreali di Viola: Mary, Gessica e Anna Sophie |
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Ed ecco le "voci" del romanzo: i bravissimi attori Palma Della Rocca e Piermario Prandi |
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