E dopo una lunga e pigra assenza da questo blog ecco il mio contributo al 4writers4blog per la sezione ritratti.
La tiepida monotonia di alcune giornate piovose mi ha ricordato l'esistenza annoiata e il bel profilo di Emma Bovary e così ho deciso di rileggere il romanzo...
Quello che segue il breve affresco, l'impronta emozionale che lei mi ha lasciato quando ho richiuso il libro, con un nodo in gola e i kleenex accanto al comodino...
“La sua vita era fredda come una soffitta che ha il finestrino volto al nord, e la noia, come un ragno silenzioso, filava la sua tela nell’ombra in ogni angolo del suo cuore”.
Emma affondò il pettine tra la
massa setosa dei capelli bruni, scuri come quell’ombra che si attorcigliava
intorno alla sua vitalità, e spalancò la finestra per non soffocare nell’incedere
lento delle sue giornate.
Alzava gli occhi neri verso le
nuvole dense che, irrequiete, si ammassavano nel cielo sballottate da aliti di
vento. Sospirava e immaginava la vita
che avrebbe voluto per sé: distese di
tappeti morbidi dalle frange dorate, saloni tappezzati di specchi su cui si
riflettevano le variopinte esistenze di marchesi e duchesse.
Lei, invece,
come una spettatrice immobile era destinata a scorgere solo i bagliori opachi
di quel mondo sublime che le sfuggiva come sabbia tra le dita sottili.
Sommersa da un’asfissiante
monotonia Emma rievocava frammenti di ricordi lontani che, come valzer lenti,
fluttuavano nella sua mente tormentandole l’anima.
E allora provava a ravvivare i
colori sbiaditi della sua realtà sistemando vasi di vetro azzurro e scatole
d’avorio sul camino o si cospargeva di acqua di Colonia per allontanare quell’
effluvio di pungente mediocrità che, vischioso, le restava impresso nell’anima
e sulla pelle.
Aveva modi cortesi e gentili come
il suo aspetto, ma dentro esplodeva come un vulcano iracondo che riversava lava
inzuppata di bramosia, rabbia, odio.
Era invasa da un freddo che non
le dava tregua perché sapeva che il suo dolore non sarebbe mai finito.
Provava a combatterlo rannicchiandosi
accanto al fuoco: cercava tra il crepitio delle fiamme una luce calda che potesse
ridestare quella vita che sembrava passarle accanto sfiorandola appena, come se
attraversasse l’esistenza senza viverla davvero.
E ad un tratto quella fiammella
si accese ed accadde qualcosa che la sorprese e la invase: Emma si sentì
rianimata e mentre si perdeva tra le braccia del suo amante pensava che “avrebbe finalmente posseduto quelle gioie
dell’amore, quella febbre di felicità di cui aveva disperato. Entrava in
qualche cosa di meraviglioso , dove tutto sarebbe stato passione, estasi,
delirio (…) l’esistenza comune le appariva ormai lontana, in basso,
nell’ombra…”
La sua illusione fu breve come un
lampo e la realtà la risvegliò con la durezza d’un nocciolo di albicocca: il
fiele delle menzogne le esplose tra le labbra rivelando il sapore aspro di un
sentimento in cui aveva creduto lei soltanto.
Quella stessa luce che l’aveva
irradiata anche nelle notti più torbide, adesso era scomparsa e non restava che
il buio pronto a prenderla per mano per trascinarla in un abisso profondo.
Emma voleva essere libera di
scegliere per sé una vita diversa, voleva andare oltre i continui impedimenti,
le convenienze, le leggi per opporsi a quel fato capriccioso che le era stato
cucito addosso come un abito sbagliato. E se così non poteva essere allora era
pronta a sfiorare il profilo del cielo, lasciandosi cadere libera
nell’abbraccio dell’aria.
Ma la vita l’agguantò di nuovo,
beffarda, perché ancora non era sazia di lei: la circuì con nuovi vagheggiamenti
alimentati da speranze di cartapesta.
Perché Emma non poteva essere
artefice del suo destino, il suo destino aveva già scelto per lei; e quando lei
si ribellava la teneva in pugno abbagliandola con una manciata di fragili
illusioni che cadevano come coriandoli sulla sua triste realtà.
E una mattina d’estate, Emma
sentì di nuovo il profumo dell’amore e tra le navate di una chiesa la luce
filtrò ancora, fino ad illuminarle il cuore pallido che esplose come il sole
all’alba.
Le sue resistenze finirono come
briciole di “carta stracciata che si
dispersero al vento e caddero lontano, come farfalle bianche su un campo di
trifoglio rosso tutto in fiore” e si sciolsero dietro le tendine gialle di
una carrozza che “più chiusa di una tomba
e sballottata come una nave” vagabondava incessante senza fermarsi mai.
E mentre Emma cedeva arrendevole
alla sua straziante felicità, il suo destino bramoso divorava ogni scaglia
della sua gioia e diventava una forza potente e avida che le cingeva i fianchi
e la spingeva giù, sempre più giù, tra quelle voragini profonde in cui,
avvelenata dalla sua stessa fantasia, l’avrebbe lasciata scivolare per sempre…
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